Serena Libutti intervista Daniele Deriu

Serena Libutti intervista Daniele Deriu

Mi va di segnalare questa mia piccola intervista rilasciata a Serena Libutti (e a cui vanno i miei ringraziamenti per il gentile invito) per l’Associazione Lucana Uscite Fotografiche. Nonostante tutti sappiano quanto io sia restio a parlare del mio lavoro, è stata l’occasione per dire qualcosa in più sulla serie “Scars of life”, a cui tengo particolarmente.

L’intervista è presente nel portale dell’Associazione a questo indirizzo, dove sarò tra l’altro in compagnia di fotografi di fama internazionale (il che sottolinea, casomai ce ne fosse bisogno, il mio ruolo di “infiltrato”), e nel sito personale di Serena Libutti. Per comodità l’ho trascritto anche in questo post.

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INTERVIEW

 

S.Viva de donne… sempre! Do inizio all’intervista con questa esclamazione perché, dopo aver visionato i tuoi lavori, ho avuto conferma del fatto che la donna è un essere forte e coraggioso. La tua fotografia mostra un particolare interesse verso il sesso femminile e tutti i tuoi lavori vedono protagonista la donna. Come mai?

D. : Forse perché la donna, al contrario dell’uomo, si ritrova sempre a dover dimostrare qualcosa. Il suo fascino deriva anche dal fatto che ha la necessità di dover superare il senso di inadeguatezza che molte società tendono a propinarle fin dalla nascita. Quindi non importa se deve respingere a colpi di AK-47 gli jihadisti dell’ISIS, superare un esame o organizzare una temibile recita scolastica. Darà sempre il meglio di se e lo farà con grazia innata. Lasciami passare un po’ di retorica, ma è difficile non essere affascinati da una creatura così.

S.Luce e tenebre: è il paradosso che più di ogni altro contraddistingue il tuo stile fotografico. Come ti sei avvicinato al mondo della fotografia?

D. : Come spesso succede, è stato mio padre a insegnarmi i rudimenti della fotografia su di una vecchia Pentax analogica, ma credo di aver sempre “fotografato”, per vie traverse, anche senza macchina fotografica. Sono sempre stato insomma un attento osservatore. Allo stesso modo, penso di essermi sempre mosso in equilibrio precario lungo un “terminatore” posto tra la luce e le tenebre. Delle volte, noi ci limitiamo a fotografare ciò che siamo.

S.“Scars of life” è un progetto molto profondo. Hai sempre mostrato i “segni di una lotta” nei tuoi lavori. Le cicatrici servono a ricordarsi che siamo dei sopravvissuti. Sono le memorie delle nostre battaglie. Alcune donne hanno accettato di mostrarle, di lasciare una testimonianza. Dall’inferno si può tornare. Lottare non è vano. Narrami.

D. : Così come la memoria è la “cicatrice” della vita, le cicatrici sono le nostre memorie e raccontano “storie di vita”. Superficialmente considerate dai più come mere deturpazioni del corpo e della bellezza, in questa serie ci tengo a mostrarle come i simboli di una lotta che vanno portati con orgoglio.

Racconto storie di donne che hanno affrontato (uso il passato soltanto per comodità) ogni sorta di battaglia personale e quotidiana contro patologie, abusi e persino contro loro stesse. Non ho nessuna intenzione di mandare messaggi “consolatori” e quindi non mi sentirete mai dire che sono belle “nonostante” le loro cicatrici o i loro disagi. Esse possiedono anzi una bellezza che travalica certi modelli, con dei “valori aggiunti” – le storie incise sulla loro pelle – che le rendono uniche, qualcosa da ammirare o persino una fonte d’ispirazione.

Anche nella insicurezza (sono tutte “modelle per caso”) è evidente, dal mio punto di vista, la loro disarmante sensualità… resa persino più dolce e “interessante” dai segni che ogni “guerriero” porta con se quando fa ritorno a casa.

S.“Umbram Venti” è un altro lavoro che vede protagonista la donna. La rappresentazione di essa, qui, è quasi inquietante ma traspare la sua imponente sensualità. Ha un significato ben preciso il titolo del progetto? Se sì, quale?

D. : Umbram venti, letteralmente “l’ombra del vento”, è un’evoluzione del progetto “Dystopia”. Parla del nostro “mal di vivere”, qualcosa che è sempre in noi ma che il più delle volte riusciamo appena a percepire ma non a definire. Sfuggente come un déjà vu, è un’angoscia, una disarmonia esistenziale, un “rumore di fondo” che ci accompagna durante le nostre giornate. Ammetto che i lavori di questo progetto non sono particolarmente allegri, anche se la sensualità è in tema.

S.Il tema della “lotta” è ricorrente nei tuoi lavori. Questo perché nella tua vita hai dovuto lottare per superare degli ostacoli oppure la scelta di questo tema è legato a storie vissute di persone a te care? Oppure semplicemente ami mostrare il raggiungimento della “luce”, attraverso la “lotta”, successivamente ad un periodo “buio”?

D. : Tutti noi lottiamo per qualcosa, prima o poi… fosse anche per impedire che la semplice e prosaica quotidianità ci schiacci. Come ci insegna Laborit, ogni creatura vivente ha tre possibilità durante una situazione di crisi: fuggire, lottare o inibire la sua reazione subendone le conseguenze. Io ho sempre preferito lottare. Probabilmente è per questo che i miei lavori trasmettono spesso questa “indole”.

S.Mi piacerebbe che mi spiegassi, infine, il tuo concetto di donna, di femminilità!

D. : Abbiamo tutto questo tempo?! La verità è che alcune definizioni ci sono precluse per via della loro natura così sfuggente e indeterminata. La donna, da sempre, è per me fonte di inesauribile stupore e di “lucida follia”.

 

(Intervista a cura di Serena Libutti, cover di © Daniele Deriu)

 

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