“Il Femminino Sacro“ di Paola Palmaroli

“Il Femminino Sacro“ di Paola Palmaroli

L’armadio per entrare nel mondo di Narnia è il simbolo che meglio riassume ciò che ho provato dopo aver visitato il tuo blog. Ogni volta che i personaggi di C. L. Lewis vi entravano vivevano situazioni ed avventure diversissime, mutavano perfino i connotati temporali dei loro corpi nei mondi in cui venivano proiettati e la tua immagine più emblematica in tal senso, “la strega e il gatto” è un viaggio nel tempo preziosissimo per i riferimenti sia storici che per gli archetipi da esso evocati.

L’universo femminile è declinato in ogni tuo scatto attraverso una sensorialità animalesca che la mente sublima e converte in suggestioni tenerissime nei confronti del femminino sacro di volta in volta indossato dalla memoria delle esperienze vissute che ogni donna taglia e cuce sulla propria pelle.

La vista non è esclusiva prerogativa degli occhi come organi di senso ma di tutto il corpo, i dettagli che metti in evidenza, dalle spalle, al ventre, alle cicatrici sulla pelle, alle palpebre abbassate od appena visibili grazie alle ciglia ed alle sopracciglia, oppure grazie ai profili che ci fanno immaginare tutto il volto ed all’espressività della modella, o per l’uso delle mani e delle braccia, per i tronchi spezzati come in certe sculture greche giunte fino a noi prive di testa e di arti, nelle tue fotografie ogni aspetto del corpo femminile è quell’occhio che tutto vede ma resta apparentemente abbassato o chiuso. Lo sguardo come istinto, che traduce l’anima attraverso un sesto senso cui pochi umani possono attingere.

Mi ricordi nei tuoi lavori che noi siamo la nostra memoria, che le donne sono capaci di cucire abilmente ogni ricordo e di indossarlo con naturalezza. Sulla carne, sulla pelle, sono visibili i segni, i tatuaggi dell’esistenza, rughe, ferite, vittorie, promesse, sofferenze di tutti i tipi, quell’involucro prezioso è luce quando riescono a generarla, è ombra quando hanno bisogno di raccogliersi in se stesse.

Sui corpi delle donne e sulla loro autonomia e libertà si sono combattute guerre di ogni tipo, da quelle teologiche a quelle sui campi di battaglia, dalla caccia alle streghe alle leggi sul diritto di famiglia, dalla loro capacità di procreare a quella di scegliere quando e come. Sono partita dalla ” strega e il gatto” non a caso perchè in quei secoli il genocidio femminile assunse connotati grotteschi ma dietro ai roghi c’era la volontà di sottrarre la capacità di conoscere il proprio corpo e di saperlo amministrare e curare. Le streghe di un tempo erano ostetriche o guaritrici, donne economicamente indipendenti o semplici vicine di casa troppo belle da far ingelosire e desiderare che ardessero vive per toglierle di torno.

Nelle tue immagini Daniele le mistiche o le sante del medioevo sembrano essere stata denudate e mostrate nella loro semplice forza data dalla fede in se stesse ed in una presenza divina che parlava loro e spiegando come costruire la città di dio fra gli uomini. La donna come pietra angolare e punto di riferimento per ogni comunità grazie al suo bisogno di pace, priva della vocazione per la guerra, impregnata della passione che pervade ogni centimetro della sua pelle e della sua anima per la vita ed i suoi segreti più intimi. Una passione a volte distruttrice altre creativa, di certo sempre sincera e mai fine a se stessa. Sai visitare e leggere negli abissi della mente e soprattutto tornare indietro a parlarcene attraverso i tuoi scatti, sai come tradurre l’alfabeto tutto femminile della gestualità, del linguaggio del suo corpo, la sai valorizzare e rendere grazia, arte, danza, una postura che racchiuda in sè quell’affabulazione feroce che prende il nome di “vita” e che le donne più degli uomini sanno far risuonare, come fossero i loro corpi gli strumenti più adatti, le casse di risonanza più preziose, per dare il ritmo ad ogni nuovo giorno, alla luce come alle ombre.

Nei tuoi ritratti c’è sia la vita che la morte, Eros e Thanatos mutuati dal desiderio di sopravvivere al loro mito, di essere ordinaria quotidiana straordinarietà faticando a rinascere ogni giorno dalle proprie ceneri.

Si legge in molti tuoi scatti di quel volo che le braccia interpretano come fossero ali, che i corpi contengono implodendo per poi galleggiare come in aria, a pochi metri da terra, come se tu non fossi il fotografo ma l’illusionista che sai farle lievitare. Dall’alto si può planare sulla terra con leggerezza, anche i corpi e le menti più martoriate possono scendere come fanno i gabbiani, appoggiando saltellando le piccole zampe e con le ali mantenersi in equilibrio pur goffamente, per poi fermarsi a riprendere fiato, per asciugarsi le lacrime, per nutrirsi, per medicarsi le piccole o grandi ferite, per poi riprendere il volo e guardare finalmente da una nuova prospettiva tutto quello che accade, che è stato, per le più fortunate che sta succedendo in quel preciso istante. Trovo che tu abbia il dono di rendere i corpi delle donne “Templi”, da onorare ed ammirare, da rispettare e continuare a costruire, allargando la loro sfera di influenza, e come in certi templi antichi sede di quel fuoco sacro che costi quel che costi non andrebbe mai spento ne sottratto impunemente.

Riesci a far sentire i sospiri, lo stupore, l’incantamento, come pure le grida mute e gli echi di una rabbia sedimentata che ha prosciugato oceani di lacrime e reso i volti delle donne maschere vuote appese a pareti livide tanto quanto i cuori svuotati ed inariditi.Laddove la drammaticità ed il pathos prendono il sopravvento i corpi od i volti sono eterei ed apparentemente immobili, perchè il dolore quando è insopportabile fa trattenere sia il respiro che paralizzare ogni muscolo prima che un tremore squassante faccia eseguire una danza parente della follia inarticolata e priva di armonia, che inizio e fine non sembra avere.

Spesso noto una sospensione del tempo e dello spazio nelle tue visioni come accade alla psiche umana quando si dissocia dal corpo e viaggia in luoghi da dove non è impossibile far ritorno, solo difficile.

E’ rassicurante che un uomo sappia vedere nelle donne quel che tu hai visto e descritto, ho sgranato gli occhi mentre le osservavo per assorbire ogni suggestione e stupore che tu abilmente hai reso con pudore puro mistero lasciandoli chiusi, come Modigliani nelle sue opere, per svelarci tutti gli occhi presenti nel corpo, tutto ciò che già era visibile all’invisibile: l’anima delle donne. Descriverla è come attraversare gli oceani appena creati, scalare montagne che continuano a crescere e ad eruttare roccia dalle loro fondamenta, è come volare senza mai trovar un punto su cui approdare. E’ il desiderio di chiudere le ali e rimanere appoggiate a terra per riposarsi, è come il volo di un gabbiano che chiede alle correnti dei venti di cullarlo per un attimo, chiudendo gli occhi, inserendo quel pilota automatico necessario per ricaricarsi e ripartire verso nuove rotte o per trovare la via di casa. Pr te le donne hanno mille occhi, sensibilità variegate come le ali degli uccelli, una fragilità pronta a trasformarsi in punti di forza o liquore anestetizzante. Da quel che ho potuto osservare tu non smetterai mai di ascoltare le voci, i profumi, la consistenza, il gusto e la luce di un’anima femminile usando i loro corpi come alfabeto per tradurla e raccontarla all’infinito. Il linguaggio fotografico è sicuramente perfetto per questa tua ricerca, coinvolge tutti i sensi e li sublima attraverso la vista ma non attraverso gli occhi. Paradossalmente lo sguardo che tu doni ad ogni dettaglio di un corpo o di un volto non proviene esclusivamente dall’organo della vista, piuttosto dalla tua capacità empatica di leggere quel che le donne donano a chi le sa ascoltare centrando l’obiettivo come neppure un apparecchio fotografico riuscirebbe mai a fare senza amore e curiosità nei confronti della loro natura.

Solo Dante racconta di aver visitato lInferno, il Purgatorio ed il Paradiso per poi far ritorno sulla terra e raccontarci cosa vi avesse trovato, accompagnato da Virgilio e ma da solo. Tu senza aver la pretesa di conoscere l’inferno ed il paradiso dell’animo femminile hai come ricevuto un lasciapassare di andata e di ritorno per quei mondi così complessi riuscendo a tradurli semplicemente e con grande naturalezza.

E’ dall’epoca delle caverne e dei primi pittogrammi sulle loro pareti, dalle prime sculture in argilla che ritraevano l donne prive di teste ma con corpi fertili ed abbondanti, che esse speravano di essere non descritte, non sublimate, ma “sentite”, “lette” e “viste” per quel che sono, con sguardo amorevole e quel misto di sacralità e di stupore che gli uomini possiedono sempre quando sono innamorati dell’altra metà del loro cielo. In te e nelle tue immagini hanno trovato il loro più appassionato e delicato affabulatore.

Ci sono quelli che dicono che l’uomo e la donna erano una volta un’unica entità e che una catastrofe ha causato la loro divisione in due sessi, che da quel momento hanno cercato di tornare di nuovo insieme. Credo che sia lo stesso per la parola e l’immagine, e, allo stesso modo, quello che fanno entrambe, ciò che accade tra di loro, è quello che rende più affascinante questo sforzo di fondersi nuovamente in un tutt’uno attraverso sia la fotografia che le parole scritte o trasmesse oralmente. Guardo le tue immagini ed è come se avessi letto le parole mai dette da un corpo di donna, dalla sua mente, dalla sua anima, perchè l’eco delle stesse poteva ritorcersi contro di loro come al tempo della caccia alle streghe.

Sono cambiati i tempi, le donne comunicano ed entrano in sintonia con chi è empatico nei loro confronti, le affinità elettive non riguardano più solo i sentimenti ma anche la comunicazione di vissuti e di intenti più complessi, il movimento delle emozioni si trova in ogni tuo scatto.

Paola Palmaroli

(in cover “Elle se réveille”, 2015 © Daniele Deriu)

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