Perchè vegli?

Perchè vegli?

«Immerso nella notte. Così come talvolta si china la testa per meditare, essere così immersi completamente nella notte. Tutt’intorno gli uomini dormono. Una piccola commedia, un’incolpevole illusione che dormano nelle case, in solidi letti, sotto un solido tetto, stesi o rannicchiati su materassi, fra le lenzuola, sotto le coperte, in realtà si sono trovati come allora e come più tardi in una regione desolata, un campo all’aperto, un numero sterminato di uomini, un esercito, un popolo, sotto un cielo freddo sopra la terra fredda, buttati là dove prima erano in piedi, la fronte sul braccio piegato, la faccia contro il terreno, respirando calmi. E tu sei sveglio, sei uno dei guardiani, trovi il più vicino rivoltando il legno ardente nel mucchio di stipe accanto a te. Perché vegli? Uno deve vegliare, si dice. Uno deve esserci. »

(Franz Kafka, “Di notte”)

 

Questo è uno dei miei rarissimi self. E’ pessimo e goffo come tutti gli altri, ma questa è sempre stata una giornata particolare, per me, assai ricca di “materia oscura”… e andava sottolineata con qualcosa di personale, di intimo. Una giornata di cattive memorie e di sensazioni molto cupe che mi fanno sentire ancora “guardiano”, nonostante non ci sia più nulla a cui fare la guardia… come grattarsi un arto amputato che non esiste più. Sembra stupido, eppure ha perfettamente senso appena il prurito scompare.

Le parole di questo piccolo racconto, salvate in modo rocambolesco da Max Brod, amico di Kafka, che le portò con sé in Israele fuggendo davanti all’invasione tedesca di Praga… le ho sentite mie già dalla prima e intensa lettura. Soprattutto le ultime. Le portavo sempre con me già da quand’ero ragazzino. Appese ad una parete, scritte in un diario o in un segnalibro, in una mail, in un biglietto dentro il portafoglio. Il mio primo cellulare, che pesava più del portatile su cui scrivo ora, poneva una sola domanda con i suoi inquietanti cristalli liquidi verdi, quando veniva acceso: Perché vegli? La risposta giungeva dalla mia mente rapida come lo schioccare delle dita. Uno deve vegliare, si dice. Uno deve esserci. Spesso era una motivazione sufficiente per mettere ancora un passo davanti all’altro. Così sono andate le cose e così vanno ancora oggi.

Dedicata a me e a quanti hanno vegliato e vegliano perché, si sa, uno deve esserci.

 

Daniele Deriu

Cagliari, 31 marzo 2012-13

 

 

 

Nota: il “self” e questo scritto sono dell’anno scorso (postati su Flickr). Non è pigrizia riportarli senza modifiche… il fatto è che “così sono andate le cose e così vanno ancora oggi.”

 

 

 

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